L'Affitto d'azienda : formula rapida per cedere l'attività

L’Affitto d’azienda

L’affitto di azienda è una tipologia di contratto che, soprattutto negli ultimi anni, ha avuto grande diffusione. L’affitto di azienda, infatti, può rappresentare un vantaggio tanto per l’imprenditore che cede in affitto la propria azienda quanto per quello affittuario: il primo riceverà liquidità attraverso la riscossione del canone di affitto, mentre il secondo potrà intraprendere una attività d’impresa senza doversi fare carico dei costi di acquisto dei beni aziendali per avviarla. Vediamo, dunque, cos’è e come funziona il contratto di affitto di azienda. Prima, però, chiariamo alcuni concetti di preliminare importanza.

 

Cos’è l’azienda?

L’azienda, secondo la definizione del codice civile è “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Essa comprende i beni, le merci, le attrezzature e tutto quanto necessario all’esercizio dell’attività. L’azienda può essere oggetto di cessione ovvero concessa in affitto.

 

Regole dell’affitto d’azienda

In particolare, l’affitto di azienda è quel contratto con il quale un soggetto, di solito un imprenditore, concede ad un altro (l’affittuario appunto) il diritto di utilizzare la propria azienda o un ramo di essa per l’esercizio di un’attività produttiva a fronte del pagamento di un canone. Nel codice civile le normative riguardanti l’affitto d’azienda non sono sufficientemente presenti al fine di garantire un adeguato e completo accordo tra le parti, pertanto è comunemente applicata la disciplina generale in tema di affitto di un bene produttivo e le norme relative alla cessione d’azienda. Con il contratto di affitto di azienda sorgono in capo alle parti diversi obblighi. In particolare:

  • l’affittuario deve gestire l’azienda senza poterne, ad esempio, modificare la denominazione. Ciò significa che l’azienda presa in affitto deve continuare ad avere lo stesso nome e deve rimanere identica nei rapporti esterni;
  • l’affittuario, inoltre, deve avere cura dei beni aziendali e garantirne e conservarne l’efficienza;
  • l’affittuario deve provvedere alle spese di gestione, sia ordinarie che straordinarie, ma allo stesso tempo ha diritto di riscuotere in via esclusiva gli utili che derivano dall’utilizzo dell’impresa.

Per quel che concerne la forma, il contratto di affitto d’azienda deve rivestire quella dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata (dunque un atto notarile) e deve essere registrato, entro 30 giorni dalla sua conclusione, nel Registro delle Imprese.

 

Affitto di azienda e locazione: quali differenze?

Nella prassi, si sente spesso parlare indistintamente di locazione commerciale e di affitto di azienda. Sebbene le affinità linguistiche, tra le due situazioni vi è una profonda differenza. Infatti, oggetto del contratto di locazione è l’immobile assieme ai suoi beni accessori. Nell’affitto di azienda, invece, oggetto del contratto è un complesso di beni (di cui può far parte anche un immobile) organizzato per l’esercizio di un’attività imprenditoriale. Dunque, nell’affitto di azienda l’immobile è solo uno dei beni aziendali, considerato unitariamente e funzionalmente agli altri beni. Ad esempio, si ha una locazione commerciale quando un soggetto concede in affitto i locali in cui esercitare l’attività commerciale, ma non anche i beni strumentali per detto esercizio. In tale situazione, per l’esercizio dell’attività d’impresa il locatore dovrà provvedere con beni propri. Si ha, invece, affitto di azienda quando l’affittuario riceve tutti i beni necessari ad esercitare un’attività d’impresa.

 

Affitto di azienda: divieto di concorrenza

Come anticipato, il contratto di affitto fa sorgere in capo alle parti una serie di obblighi. Tra questi, certamente il divieto di concorrenza gravante sull’affittante. Chi concede a terzi l’affitto della propria azienda, infatti, non può poi avviare (direttamente o indirettamente) una nuova impresa che per oggetto, ubicazione o altre caratteristiche sia idonea a sviare la clientela dell’azienda affittata. Il divieto dura per tutta la durata dell’affitto. Se l’affittante non rispetta il patto di non concorrenza, l’affittuario può chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento ed il risarcimento del danno.

Secondo la giurisprudenza, una volta concluso il contratto di affitto e restituita l’azienda all’affittante, anche l’affittuario soggiace al divieto di concorrenza.

 

Affitto di azienda: rent to buy

Nella prassi commerciale si sta diffondendo anche il rent to buy d’azienda: si tratta di una sorta di affitto d’azienda preparatorio all’acquisto della stessa. Tale contratto ha il vantaggio di consentire al futuro acquirente di entrare subito nell’azienda in qualità di affittuario, per poterla acquistare successivamente entro un periodo di tempo della durata massima di 3 anni. Normalmente l’affittuario versa all’affittante-venditore una caparra pari a circa il 30% del prezzo concordato per la futura vendita (prezzo che rimane bloccato per tutta la durata del contratto) e mensilmente versa un canone, in parte imputato a canone di affitto ed in parte accantonato per il futuro acquisto.

 

La cessione dei rapporti di lavoro

Quando la cessione riguarda aziende con dipendenti (o se il ramo d’azienda trasferito comprende i rapporti di lavoro), i rapporti di lavoro con i medesimi vengono regolati dall’art. 2112 del codice civile.

Posto che a seguito del trasferimento d’azienda cambia il datore di lavoro, la disciplina di quest’istituto presenta riflessi rilevanti sul piano dei rapporti di lavoro ed è volta a contemperare esigenze del tutto opposte:     da un lato, quelle di flessibilità delle imprese; dall’altro, quelle di tutela e garanzia dei lavoratori.

 

Il trasferimento non costituisce, di per sé, legittimo motivo di licenziamento per cui il rapporto di lavoro continua con il cessionario (o acquirente) e il lavoratore ha il diritto di passare alle dipendenze del cessionario mantenendo tutti i diritti connessi al rapporto di lavoro (ad es. superminimo, anzianità, ecc.).

 

Resta salva, in ogni caso, la facoltà del cessionario di esercitare il recesso per giustificato motivo oggettivo, qualora ne sussistano i presupposti (ad esempio la cessazione dell’attività), sia la possibilità per cedente e cessionario di effettuare licenziamenti collettivi per riduzione del personale, se ricorrono i presupposti indicati dalla legge.

Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Tale obbligazione sorge a carico del cessionario anche se egli non abbia avuto conoscenza dei suddetti crediti all’atto del trasferimento o essi non risultino dai libri dell’azienda trasferita.

Il lavoratore può, tuttavia, consentire la liberazione del cedente (o anche il cessionario o entrambi) dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro mediante le procedure di cui agli artt. 410 e 411 del codice di procedura civile, relative alle conciliazioni sindacali

Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario, purché siano essi del medesimo livello.

Si tratta di una norma intesa a tutelare i lavatori, garantendo loro la conservazione del trattamento economico-normativo in precedenza applicato, che impone al cessionario il rispetto dei contratti collettivi vigenti in azienda alla data del  trasferimento.

I rapporti di lavoro autonomo, quali ad esempio, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, i contratti di agenzia, i contratti d’opera o di opera intellettuale (come le consulenze dei liberi professionisti), pur avendo, di fatto, alcune analogie con i rapporti di lavoro subordinato non rientrano nell’ambito di applicazione della norma di cui all’art. 2112 c.c.

Essi risultano, tuttavia, ugualmente coinvolti nel processo circolatorio dell’azienda o di una parte di essa.

Secondo un consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale tali rapporti, sono, infatti, disciplinati dall’art. 2558 codice civile e compresi nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda in cui subentra l’acquirente “se non è pattuito diversamente”.

Criticità applicative

 

Sebbene la regola della continuazione del rapporto di lavoro in capo al cessionario sia ispirata ad una logica protettiva nei confronti dei lavoratori, si assiste con sempre maggiore frequenza ad un utilizzo distorto dello strumento del trasferimento di ramo per conseguire l’espulsione dall’organizzazione aziendale di lavoratori ritenuti in eccedenza senza dover passare attraverso la disciplina dei licenziamenti collettivi.

Proprio la regola della cessione automatica del contratto del lavoratore, anche senza il suo consenso, viene in questi casi adoperata per aggirare l’applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi.

Per questa ragione, vi possono essere sia situazioni nelle quali i lavoratori avranno interesse a far valere l’applicazione dell’art. 2112 codice civile per ottenere la continuazione del proprio rapporto, a condizioni invariate, nei confronti del cessionario, sia situazioni opposte in cui i lavoratori avranno invece interesse a contestare la sussistenza di un trasferimento di ramo, per vedere il proprio rapporto di lavoro permanere in capo al cedente.

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